domenica 2 novembre 2008

Da IL SECOLO XIX del 27/10 M. Maggiani

Meno scuola per mio nipote (e per tutti)
Il Secolo XIX 27 ottobre 2008 (Maurizio Maggiani)
In questi giorni mi sto chiedendo quanti delle centinaia di autorevolissimi commentatori che hanno detto, stanno dicendo, diranno la loro sulla riforma della scuola hanno figli che alla scuola pubblica ci stanno andando, e nel caso se sono usi ad accompagnarli, a parlare con maestre e professori, ad aiutarli a fare i compiti, a seguirli nel loro percorso di istruzione, o demandano invece a queste vili attività tate e nonne, baby sitter e istitutrici.
Ci penso perché le loro opinioni mi sembrano talvolta prive del senso di realtà, come se fossero state elaborate, di malavoglia, su una questione distante e speciosa, così poco interessante nei suoi aspetti crudamente materiali, imposta da un’uggiosa contingenza sociale.
Diversamente, le mie opinioni su detta riforma non hanno la forza di trarre origine da astratto pensiero e teorica elaborazione, ma dalla pratica della realtà e nella pratica della materia si sono formate e anche, all’occorrenza, dalla nuda realtà mutate.
Si dà il puro caso che io sia lo zio e il padrino di un ragazzino, Richi, di dieci anni, che questo ragazzino frequenti la quinta elementare, che per quello che posso mi occupi della sua formazione materialmente.
Per questa ragione, molto pratica e del tutto fortuita, mi occupo dei problemi della scuola, della sua scuola, scarsamente interessato all’elaborazione teorica, assai pressato invece dagli aspetti vividamente concreti del sistema formativo in cui è inserito. Quello che so dunque me lo sono andato a vedere con i miei occhi, mattino dopo mattino, me lo sono riscontrato pomeriggio dopo pomeriggio, verificato con gli interessati sera dopo sera. Cercherò dunque di elencare di seguito quello che so della scuola, di Richi che ci va, della riforma prossima e di come cambierà l’una e l’altro.
La scuola che sta frequentando Richi è una scuola a tempo lungo; si va cianciando qua e là di scuola a tempo pieno, che è cosa assai diversa. La scuola a tempo pieno, dove lo zio ha insegnato per sei splendidi anni giovanili, è un progetto didattico educativo complessivo che non esiste più, non più dall’approvazione della legge 53, approvata ai bei tempi del ministro Moratti.
A dieci anni Richi sa molte più cose di me quando ne avevo tredici. In matematica, in storia in analisi della lingua, in geografia e in scienze fisiche. Pur essendo affetto da un grave handicap visivo, ha potuto seguire il corso di studi senza alcuna limitazione, cosa inimmaginabile ai tempi di suo zio. Questo è dovuto alla diversa metodologia didattica e all’organizzazione scolastica. La scuola di suo zio aveva il compito primario di alfabetizzare una nazione, ed era dotata di personale idoneo a questo scopo – la mitica maestra Fabbri -, la scuola di Richi è immersa nella complessità, là dove naviga Richi e il mondo che deve affrontare. Il tempo lungo, le diverse figure educanti con diverse specializzazioni, il sostegno personalizzato, sono alla base del suo successo scolastico.
Con la riforma prossima Richi perderebbe gran parte di tutto ciò. Con la riforma a regime – e il sottoscritto si basa unicamente sul decreto legge già in attuazione, sulle proposte ministeriali nella parte reperibile per iscritto e sui conteggi che se ne traggono - Richi non avrebbe più il suo sostegno personalizzato per decurtamento dei fondi necessari, non più le maestre con diverse specializzazioni per introduzione del maestro unico, e otto ore di meno di scuola alla settimana, per l’eliminazione del tempo lungo. Tanto per dire, Richi farebbe 22 ore di lezione settimanali: più due di religione, otto ore settimanali in meno di oggi. Tanto per dire, non avrebbe più una insegnante di inglese perché gli insegnanti che si vanno assumendo devono certificare di essere loro in grado di insegnare la lingua straniera. Dovranno dunque sottrarre, sempre che ne abbiano la voglia e la possibilità alle altre materie il tempo per l’insegnamento della lingua. L’informatica, così cara a tutti noi, sparirebbe dall’insegnamento specialistico, perché la figura dell’insegnante di informatica non è affatto prevista in organico, ma le nuove insegnanti si occuperanno, anche se prive di certificazione, di informatizzare gli alunni nel modo che potranno. Cinquanta anni or sono lo zio aveva per alfabetizzarsi due ore in più di Richi alla settimana, e di lingue straniere e informatica nemmeno si fantasticava. Come lo zio, anche Richi potrebbe avere 28 compagni di classe, oggi ne ha 19, e non credo che la sua insegnante unica potrà troppo curarsi del suo deficit visivo, né di molte altre quisquilie che richiedono un minimo di personalizzazione dell’insegnamento. Non ci riusciva nemmeno la mitica maestra Fabbri a cui lo zio tanto deve.
Si chiacchiera anche di sprechi nella scuola. Nella scuola di Richi ci sono due bidelle per cento bambini, una precaria dello Stato e una di una ditta appaltatrice; tante quante ce n’erano nella mia scuola, solo che allora erano di ruolo. Da quattro anni la carta che si usa a scuola è regalata da una assicurazione che ha cambiato proprietà e ha dunque dovuto cambiare la carta intestata. Ha regalato anche penne e varia cancelleria, tutta siglata con l’antico, austero marchio assicurativo. I quattro computer in dotazione sono stati offerti dal Comune, che li usa quando la scuola diventa seggio elettorale. È da tempo che la scuola non ha i fondi per cambiare le cartucce esaurite dell’inchiostro delle stampanti. A proposito, quando il passato governo lanciò lo slogan “un computer per ogni bambino” questo si tradusse nello sconto del 20% sull’acquisto di alcune marche indicate (?!), sconto che qualunque grande magazzino fa regolarmente senza che il governo glielo dica; oggi la gran parte dei compagni di Richi ancora non possiede un computer e men che meno un collegamento a internet, o perché le mamme preferiscono acquistare colonie e cotì per se stesse, o proprio non hanno soldi. Ma la scuola forse quest’anno riuscirà ad avere un collegamento Adsl dopo sei anni di richieste. Dove e come è possibile risparmiare, dove sono gli sprechi?
Per finire, Richi ha sempre portato a scuola il grembiule, e ci è parso funzionale e pratico senza aspettare un decreto che ce lo imponesse; non siamo dei genitori così amanti del glamour infantile.
Ho esposto alcune modeste considerazioni sulla scuola primaria perché questo grado di istruzione è già oggetto di decreto legge, dunque la riforma è già in atto e ne posso ricavare considerazioni basate sul concreto non sulle illazioni. Per la scuola secondaria sappiamo di fatto poco e quel poco non significa nulla, se non che è evidente che si intenda fare di meno ma non si capisce come si possa fare di meglio. Vorrei proprio capire perché un istituto professionale - che sarà pure frequentato dalla feccia proletaria e sottoproletaria, ma ha pur sempre una sua ragione in questo Paese ancora infestato da proletari e sottoproletari - che offre un monte ore di insegnamento ridotto del 20%, possa essere più efficace e funzionale. Forse perché attualmente si studiano materie inutili? Quali sono le materie inutili, perché lo sono?

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