lunedì 24 novembre 2008

Apartheid a scuola ? No,grazie !

Da : lapoesiaelospirito.wordpress.com
Si appresta a diventare legge la mozione Cota, che prevede “classi ponte” per studenti stranieri. Il Presidente continua a fare opera di informazione. Intanto si vedono i risultati dell’attenzione del governo per la scuola, la quale il 29 novembre torna in piazza.

Una scuola di tutti e per tutti di Daniela Bertocchi
La mozione Cota, presentata dal capogruppo della Lega alla Camera e approvata il 14 ottobre, è diventata (tristemente) famosa come norma sulle classi-ponte per gli immigrati (anche se in realtà la mozione parla di “classi di inserimento”). Molti ne hanno sentito parlare in Tv o letto sui giornali, molti fortunatamente l’hanno anche disapprovata o si sono indignati, ma in realtà pochi ne hanno letto il testo originale, come spesso capita con i provvedimenti legislativi.
Vale quindi la pena di spendere qualche parola per presentarla (oltre che magari leggerla in originale).

Il testo è composto da una lunga premessa di tono vagamente sociologico, che dovrebbe giustificare le misure concrete assunte. Nella premessa si parla dell’alto numero di “studenti stranieri” “con cittadinanza non italiana” presenti nelle nostre scuole, con “diverso grado di alfabetizzazione linguistica”; si mette in rilievo che tali studenti non sono distribuiti in modo omogeneo sul territorio nazionale, ma si concentrano soprattutto al Centro Nord, in particolare nella scuola primaria e secondaria di 1° grado (ovvero elementare e media); si afferma che questi studenti provengono da 191 diversi paesi e che quindi spesso nelle classi si trovano studenti di provenienza differente.
Partendo da questi e da altri dati, si afferma poi che la presenza massiccia nelle classi di studenti con difficoltà linguistiche costituisce un problema sia per gli studenti italiani che “assistono a una penalizzante riduzione dell’offerta didattica” (in soldoni, secondo la mozione, imparano meno) sia per gli studenti stranieri stessi, che hanno percentuali di insuccesso scolastico più elevate della media italiana e per i quali quindi sarebbe vantaggiosa una “discriminazione transitoria positiva” (cioè, anche qui detto in soldoni, la frequenza di classi separate di alfabetizzazione).
Si cita il fatto che “la maggior parte dei paesi europei ha costruito luoghi d’apprendimento separati per i bambini immigrati”, riportando poi il caso della Grecia (non si sa scelta per quale presunta eccellenza pedagogica, che certo non risulta dalle indagini internazionali!), in cui si organizzano “classi propedeutiche o sezioni preparatorie” per gli alunni stranieri: il cui esempio, evidentemente, anche l’Italia dovrà seguire nell’interesse di tutti gli studenti, compresi quelli stranieri, i cui percorsi formativi, si dice nella mozione, sono tutelati dalla Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia, nonché dalla Costituzione italiana.

Prima ancora di passare ad un’analisi delle misure adottate, vale la pena di considerare meglio questa premessa, che qui è stata riportata molto sinteticamente. Tutto può sembrare molto di “buonsenso”, e in effetti è proprio al senso comune degli Italiani in genere e dei “Padani” in particolare che questa mozione proposta dalla Lega e adottata dal Parlamento fa appello. Peccato che molti elementi, già della premessa, mostrino scarsa informazione e uso “di parte” dei dati.

Prima di tutto, come sa chiunque si occupi minimamente del problema, la definizione stessa di “studenti stranieri” è vaga e fuorviante. Chi è lo studente straniero? Quello che non ha la cittadinanza italiana? Quello che è arrivato in Italia di recente e ha compiuto parte della propria scolarizzazione all’estero? Chi è nato in Italia da genitori stranieri? Chi, pur avendo la cittadinanza italiana in quanto adottato, proviene, magari già nella seconda infanzia, da un altro paese? Ovviamente anche i dati cambiano di natura e di significato a seconda della definizione che viene presa in considerazione.
Il fatto che nelle classi in cui più alta è la percentuale di studenti stranieri anche quelli italiani “imparino meno” è un’affermazione non suffragata da alcun dato oggettivo né da alcuna indagine ad hoc: ha piuttosto l’aria di essere ripresa dalle classiche lamentele dei genitori, parecchi dei quali mandano i figli in una scuola in cui “ci sono solo italiani” e “si fa il buon vecchio programma di una volta”.
Non è neppure vero che la maggior parte dei paesi europei adotti una politica di classi “separate”: o meglio, questo è stato vero in passato, ma sempre di più si sta arrivando, in tutta Europa, a una politica di classi integrate (in cui gli studenti provenienti da altri paesi vengono inseriti fin dall’inizio nel cosiddetto “mainstream”, cioè nelle classi che con termine improprio vengono definite normali, naturalmente affiancando al lavoro di classe una formazione linguistica specifica, che può occupare lo studente di nuovo inserimento per un tempo fino a 10 ore la settimana). Dati a questo proposito si possono leggere nel rapporto internazionale Integrating Immigrant Children into Schools in Europe, rilasciato dall’Unione europea, Programma Eurydice, nel 2004).
Tralasciando altre imprecisioni, chiamiamole così, della premessa, quale il supposto “universalismo” che avrebbe improntato la politica interculturale del precedente governo di centro-sinistra, passiamo ad esaminare le misure concrete adottate.

1. “specifiche prove di valutazione” per l’accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado (Che tipo di prove? Preparate da chi? Quale livello di conoscenza della lingua italiana deve essere raggiunto perché si possa essere inseriti nelle classi “normali”? Uguale o differenziato per le diverse età? Di tutto questo non si dice nulla, anche se sarebbe stato facile e doveroso fare riferimento ai livelli di conoscenza linguistica previsti dal Consiglio d’Europa nel “Quadro comune europeo di riferimento”)

2. per gli studenti che non superino le suddette prove, l’obbligo di frequentare “classi di inserimento”, in cui essi possano apprendere la lingua italiana e seguire “un curricolo formativo essenziale” che li educhi alla “legalità e alla cittadinanza” (Per quanto tempo dovrà durare la frequenza di queste classi di inserimento? Un anno? Un tempo indeterminato, finché lo studente non sia in grado di superare le prove di cui al punto 1? Che cos’è un “curricolo formativo essenziale”, con “percorsi monodisciplinari e interdisciplinari”, come dice la norma stessa? E gli studenti italiani non devono forse essere educati alla legalità e alla cittadinanza, o questi sono valori che hanno intrinsecamente, date le loro caratteristiche di autoctoni?)

3. infine, una norma di tipo, diciamo così, amministrativo: nessuno studente straniero potrà essere inserito nelle classi ordinarie dopo il 31 dicembre di ogni anno (e che cosa si farà di lui? Sarà sistemato, de facto, in una classe di inserimento? E se conoscesse già abbastanza l’italiano?).
Ovviamente molto si potrebbe dire, e di fatto è stato detto, sui rischi di una educazione separata e differenziata: al di là di presunte “buone intenzioni”, ovunque le classi “non ordinarie” diventano un ghetto, con enormi rischi di perdita di motivazione, difficoltà di apprendimento, isolamento e chiusura sociale, anche ostilità nei confronti delle istituzioni e dello stesso paese di, diciamo così, accoglienza.
E’ successo così fino all’ultimo quarto del secolo scorso in Germania, con i figli dei nostri emigrati chiusi, con ottime intenzioni, certo!, in classi differenziali, perché imparassero più in fretta il tedesco (che in realtà non imparavano) e si preparassero ad un migliore sviluppo personale e professionale (con il risultato che la maggior parte lasciava la scuola appena legalmente possibile e al massimo alcuni si inserivano nell’educazione professionale).
E gli esempi si potrebbero moltiplicare.

Certo, la mozione Cota coglie un problema reale: quello del necessario apprendimento, da parte degli immigrati, dell’Italiano a fini sia personali, sia scolastici, sia sociali e di cittadinanza. Ma l’approccio a questo problema reale è, prima ancora e forse più che “razzista”, pedagogicamente e tecnicamente sbagliato.
Infatti, come ogni linguista sa bene, una lingua seconda, una lingua che cioè si apprende nell’ambiente stesso in cui è parlata (insomma, in questo caso la lingua italiana in Italia) si impara essenzialmente e primariamente dal contatto con l’ambiente e con i parlanti nativi.
I bambini, fino all’adolescenza, hanno una grande facilità nell’imparare la lingua attraverso il contatto con i loro coetanei: un contatto di gioco, di esperienze, di studio e lavoro in comune.
E questo contatto, che risulta fondamentale anche per l’integrazione, gli stranieri dove dovrebbero trovarlo? In classi dove si parlano, come lingue native, l’arabo piuttosto che il cinese piuttosto che l’albanese e il rumeno, e la sola fonte linguistica italiana disponibile è quella dell’insegnante di italiano?
E’ una premessa assurda, che non tiene conto né delle conoscenze ormai molto approfondite che i ricercatori, i linguisti, gli psicologi hanno dei meccanismi dell’apprendimento linguistico né delle esperienze, ormai numerose e spesso di ottima qualità, che si sono fatte negli ultimi dieci-quindici anni nella scuola italiana.
Perché non è che, aspettando l’Onorevole Cota, le scuole, gli enti locali, le istituzioni culturali siano state a guardare il fenomeno dell’immigrazione e dell’inserimento degli immigrati nella scuola, pensando “Bel problema! E adesso cosa facciamo?”.
Un po’ in tutta Italia, e in particolare nelle regioni che Cota indica come quelle di più forte immigrazione: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Umbria, i Comuni, le Province, gli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali, gli Enti di ricerca, le Università, le scuole autonome hanno organizzato corsi di formazione per gli insegnanti, hanno contribuito con risorse proprie alla formazione e all’utilizzo dei facilitatori linguistici, hanno stabilito precisi protocolli per l’accoglienza e per l’alfabetizzazione linguistica iniziale e intermedia, hanno prodotto materiali di studio “semplificati” per gli studenti neo arrivati, e tutto questo senza isolare né separare nessuno, ma individualizzando, come peraltro prevede la legge, i percorsi di apprendimento e contemporaneamente contribuendo ad una positiva socializzazione dello studente straniero e insieme dello studente italiano, che deve imparare a vivere in un mondo di culture e lingue diverse.

Ci sono risorse legislative, anche morattiane e quindi non sospette di “universalismo” (il D.P.R. 394/99; le “Linee guida per l’accoglienza degli alunni stranieri”, emanato dal ministro Moratti, marzo 2006; “La via italiana all’integrazione e alla scuola interculturale”, ottobre 2007), c’è un “Osservatorio per l’integrazione alunni stranieri ed educazione interculturale” su scala nazionale e molti “Osservatori” locali, di tipo più o meno istituzionale (ne ha sentito il parere, l’Onorevole Cota?), ci sono numerosi Centri risorse, sia di Enti locali sia universitari.
Certo, non viviamo nel migliore dei mondi possibili; certo, molto si è fatto e molto resta ancora da fare: ad esempio, per quanto riguarda la “lingua per lo studio”, più formalizzata e astratta della lingua della comunicazione quotidiana, che è quella che effettivamente può dare problemi agli studenti stranieri, in particolare, nella scuola superiore (e, diciamolo, i problemi li dà anche a molti studenti italiani).
Un punto è fondamentale: nella Mozione Cota si prevedono risorse finanziarie particolari per un “maggiore fabbisogno di personale docente”.
E allora questo personale docente, di cui annualmente la legge finanziaria deve prevedere la copertura dei costi di assunzione, naturalmente ben venga: ma non per delle fantomatiche “classi di inserimento” (per le quali si è peraltro previsto spazi specifici nelle scuole, strumentazione, ecc.?), ma nelle classi ordinarie, sia come insegnanti di italiano L2 sia come tutor per gli studenti stranieri: insegnanti specializzati, perché hanno preso una laurea ad hoc o perché hanno seguito i master che ormai moltissime Università hanno attivato. Insegnanti che costituiranno una formidabile risorsa nella scuola di tutti e per tutti, che si pone come finalità costituzionali e inscindibili l’apprendimento cognitivo e lo sviluppo autonomo della persona e del cittadino, attraverso un’educazione che garantisce l’uguaglianza e insieme tutela le diversità individuali e culturali.

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… E adesso c’è anche una interrogazione Grimoldi, che chiede per chi si iscrive a scuola il certificato di sana e robusta costituzione fisica…

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Confronti
… la scuola italiana deve quindi essere in grado di supportare una politica di “discriminazione transitoria positiva», a favore dei minori immigrati…(Mozione Cota)

La scuola è aperta a tutti… I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi…(Costituzione italiana, art. 34)
… È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona…(Costituzione italiana, art. 3)


“Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia patria, gli altri i miei stranieri”.(Don Lorenzo Milani, Lettera ai cappellani militari)

Io, gli dissi, non riuscirei mai a imparare l’arabo nel modo in cui stai facendo tu con l’italiano. Faris alzò gli occhi sfoggiando il suo sorriso estremo: un fotogramma sgranato al rallentatore.(Eraldo Affinati, La città dei ragazzi)

Tutti gli americani devono rendersi conto che i sogni di qualcuno non devono realizzarsi a discapito di quelli di qualcun altro; che investire nella sanità, nel welfare e nell’istruzione dei bambini, siano essi neri, meticci o bianchi, alla fine si rivelerà vantaggioso per tutti.(Barack Obama)

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