giovedì 19 febbraio 2009

Ancora sul decreto Aprea

L'ANALISI
Il pericolo di un accordo bipartisan
I 22 articoli del disegno di legge Aprea, fermo in VII Commissione alla Camera, si articolano soprattutto su 2 temi: l'autogoverno della scuola e la condizione dei docenti.
Le scuole vengono trasformate in fondazioni, istituti di diritto privato. Infatti lo Stato garantisce loro una cifra fissa e identica per tutte, ma le aziende o gli enti, associazioni o utenti potranno contribuire con finanziamenti. Tale condizione - tra tutti i possibili scetticismi rispetto alle concrete velleità di entrare come finanziatori di un'istituzione scolastica - configura la possibilità non solo di privatizzare qualunque scuola, ma di creare immense disparità tra istituti, a seconda del livello ordinamentale, dell'utenza, della collocazione nel territorio.
Al consiglio di istituto - attraverso una rivisitazione dei decreti delegati - verrà sostituito un consiglio di amministrazione (nel quale non sono più compresi gli Ata), di cui farebbero parte rappresentanti degli enti locali e del mondo del lavoro e delle professioni. Non è un caso che questo percorso (di cui non è difficile individuare, oltre che le criticità rilevate, i danni in termini di ingerenza sulla libertà di insegnamento) rappresenta una mano tesa verso Confindustria, che a più riprese ha avallato e richiesto una simile trasformazione.
La carriera dei docenti - la cui formazione iniziale è concepita sul modello 3+2, con un corso universitario caratterizzato per il 75% da crediti di tipo contenutistico-disciplinare e solo per il 25% di tipo relazionale, didattico, pedagogico, cui seguirà un anno di tirocinio validato dal giudizio del dirigente, dopo il quale il candidato potrà iscriversi ad un albo rigorosamente regionale - sarà articolata in 3 livelli: iniziale, ordinario ed esperto.
Gli aumenti stipendiali saranno vincolati all'anzianità e all'appartenenza al singolo livello, determinato da concorsi banditi dai singoli istituti. Si propone così, oltre che un aggravio di lavoro difficilmente gestibile dalle segreterie, un sistema di reclutamento improntato a "cordate" interne più i meno di potere, meccanismo non dissimile da quello che il centro destra ha sbandierato di voler debellare all'università.
Infine, spariranno le Rappresentanze sindacali unitarie e per i docenti verrà istituita una specifica area contrattuale. Il fatto che le politiche sull'istruzione del centro destra non si limitino semplicemente in un - seppur allarmante e drammatico - disinvestimento economico e culturale, che culmina negli otto milioni di tagli alla scuola e nell'annullamento di più di centotrentamila posti di lavoro, è chiaro più che mai. Perché qui si accompagna il desolante passaggio dalla scuola della Repubblica (statale, laica, pluralista, inclusiva) alla scuola privata (confessionale, aziendalista, esclusiva, "omologata"). Qui si vanno a minare definitivamente le basi dello stato sociale come frutto del patto di solidarietà che sta alla base della Carta, e si scongiura ogni possibilità di affidare alla scuola funzioni emancipanti rispetto alle condizioni socioeconomiche di partenza di tutti e di ciascuno.
Il sospetto stazionamento prolungato del disegno di legge può essere letto da differenti punti di vista. Conflitti interni a Forza Italia: la sconfitta di Valentina Aprea, responsabile scuola nazionale, dirigente scolastico e ministro in pectore, nella corsa alla poltrona di viale Trastevere a vantaggio della neofita e incompetente Maria Stella Gelmini, fu bruciante. Tanto più che Gelmini si era segnalata pubblicamente solo per una proposta di legge presentata il 5 febbraio 2008 alla Camera - "Per la promozione e l'attuazione del merito nella società, nell'economia e nella pubblica amministrazione": una beffa da una come lei che, nata e vissuta in Lombardia, ha acquisito il titolo di avvocato solo dopo un fittizio trasferimento a Reggio Calabria. Oppure, come sostengono altri, la lentezza dell'iter potrebbe essere dovuta alla volontà di far convergere in un unico testo proposte provenienti anche dalla cosiddetta opposizione.
Considerando che le leggi su parità e autonomia scolastica furono licenziate dal centrosinistra; che l'idea delle scuole fondazioni era contenuta nel decreto Bersani del 2007; che la riforma del Titolo V della Costituzione e l'astensione dal voto dimostrano che federalismo, regionalizzazione e sussidiarietà sono principi condivisi anche dal chi dovrebbe opporsi alla deriva mercantilistica, aziendalista e privatistica configurata dalla proposta Aprea, non disperiamo che il progetto bipartisan possa riuscire.
Aggravato dalla notizia ventilata che Gelmini potrebbe essere candidata alle Europee; in quel caso Aprea, sebbene titubante, potrebbe succederle, alimentando il dilemma se sia meglio un'incompetente yes woman di una competente jihadista del mercato.
Prima di adattarci a intonare il requiem annunciato per la scuola della Repubblica, degli art.3, 33 e 34 della Costituzione, tentiamo di fare qualcosa. Il pericolo è enorme.
Articolo di Marina Boscaino, tratto da il Manifesto del 13-2-2009, pag. 6

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